Divertentissimo. Dopo aver visto questo mix mi è venuta voglia di pubblicare il bellissimo fiml di Tati, "Mon Oncle": una vera critica radicale al modernismo.
Non una critica al modernismo, ma ad un possibile stile di vita futuro.
Nel film sia la villa, gli edifici alti, che la città, furono create con le sceneggiature tirate su apposta per il film, messe in contrasto con la parigi reale a far da sfondo agli uomini e le loro vite in cambiamento.
No Repazzo, mi dispiace ma non sono D’accordo con te. Tati descrive due realtà esistenti, il film è del 1958. Descrive queste realtà a modo suo enfatizzandole, idealizzandole ed esaltandone le caratteristiche, ma pur sempre due realtà attuali (all’epoca della realizzazione del film). Se noti bene nella Parigi “tradizionale” egli enumerò tutte quelle caratteristiche che i protomodernisti prima e i modernisti poi non sopportavano della città storica. La mancanza di luce : il Sig. Hulot per far cantare l’uccellino è costretto a ruotare la finestra fino a far battere il riflesso del sole sulla gabbia. Le case sono le une dentro le altre affastellate come un montagna di cassette della frutta. Esilarante la scena di lui che per arrivare a casa sua fa un incredibile percorso all’interno di un assolutamente improbabile condominio. Vicoli stretti e tortuosi nei quali i discoli hanno buon gioco nel fare scherzi crudeli ai passanti. Il continuo ed ininterrotto vociare di sottofondo di questa Parigi popolare. L’assoluta mancanza di igiene del mercatino rionale, incredibile la scenetta del cane che abbaia al pesce infilato nella sporta della spesa. Carretti e camioncini scalcinati che si aggirano disordinati negli stretti vicoli. Tutto condito dal continuo ed ininterrotto suono della fisarmonica. All’opposto la Parigi borghese delle villette unifamiliari. Delle padrone di casa ossessionate dall’igiene, nel più classico degli stereotipi di quegli anni, la sorella di Hulot ricorda quelle pubblicità che si vedevano sulle riviste degli anni 50 di donne di casa che elegantissime davano l’aspirapolvere. La macchine tutte assolutamente in commercio all’epoca ma che ordinatamente si muovono in queste strade perfettamente asfaltate larghe e pulite. Immagini che ricordano in modo impressionante il traffico veicolare nei disegni degli urbanisti a cavallo tra il 1930 e 1950 L.C. in testa. La casa del cognato che è ovviamente ispirata agli edifici dell’international Stile, già in piena fase di declino, gli anni 60 sono alle porte. Il giardino che ispirato ai disegni de stijl già in voga 30 anni prima. E poi il brusio delle macchine, il sottofondo costante e monocorde della meccanizzazione. Insomma a parer mio Tati legge semplicemente la realtà che vede è la trascrive a suo modo.
Ciò che in fondo mi pare interessante è che nell’esaltare i difetti di queste realtà così lontane la città di Houlot ci appaia simpatica e vitale mentre la città del cognato capitano d’industria, triste e noiosa. Alla fine però qualcosa accade, almeno umanamente un riscatto può esserci, ma questo non lo racconto magari a qualcuno viene voglia di vedere il film.
Divertentissimo.
RispondiEliminaDopo aver visto questo mix mi è venuta voglia di pubblicare il bellissimo fiml di Tati, "Mon Oncle": una vera critica radicale al modernismo.
Angelo
http://ritornoallacitta.blogspot.com/2010/10/mon-oncle.html
Non una critica al modernismo, ma ad un possibile stile di vita futuro.
RispondiEliminaNel film sia la villa, gli edifici alti, che la città, furono create con le sceneggiature tirate su apposta per il film, messe in contrasto con la parigi reale a far da sfondo agli uomini e le loro vite in cambiamento.
Grande Tatischeff, ;-)
No Repazzo,
RispondiEliminami dispiace ma non sono D’accordo con te.
Tati descrive due realtà esistenti, il film è del 1958.
Descrive queste realtà a modo suo enfatizzandole, idealizzandole ed esaltandone le caratteristiche, ma pur sempre due realtà attuali (all’epoca della realizzazione del film).
Se noti bene nella Parigi “tradizionale” egli enumerò tutte quelle caratteristiche che i protomodernisti prima e i modernisti poi non sopportavano della città storica.
La mancanza di luce : il Sig. Hulot per far cantare l’uccellino è costretto a ruotare la finestra fino a far battere il riflesso del sole sulla gabbia. Le case sono le une dentro le altre affastellate come un montagna di cassette della frutta. Esilarante la scena di lui che per arrivare a casa sua fa un incredibile percorso all’interno di un assolutamente improbabile condominio. Vicoli stretti e tortuosi nei quali i discoli hanno buon gioco nel fare scherzi crudeli ai passanti. Il continuo ed ininterrotto vociare di sottofondo di questa Parigi popolare. L’assoluta mancanza di igiene del mercatino rionale, incredibile la scenetta del cane che abbaia al pesce infilato nella sporta della spesa. Carretti e camioncini scalcinati che si aggirano disordinati negli stretti vicoli. Tutto condito dal continuo ed ininterrotto suono della fisarmonica.
All’opposto la Parigi borghese delle villette unifamiliari. Delle padrone di casa ossessionate dall’igiene, nel più classico degli stereotipi di quegli anni, la sorella di Hulot ricorda quelle pubblicità che si vedevano sulle riviste degli anni 50 di donne di casa che elegantissime davano l’aspirapolvere. La macchine tutte assolutamente in commercio all’epoca ma che ordinatamente si muovono in queste strade perfettamente asfaltate larghe e pulite. Immagini che ricordano in modo impressionante il traffico veicolare nei disegni degli urbanisti a cavallo tra il 1930 e 1950 L.C. in testa. La casa del cognato che è ovviamente ispirata agli edifici dell’international Stile, già in piena fase di declino, gli anni 60 sono alle porte. Il giardino che ispirato ai disegni de stijl già in voga 30 anni prima.
E poi il brusio delle macchine, il sottofondo costante e monocorde della meccanizzazione.
Insomma a parer mio Tati legge semplicemente la realtà che vede è la trascrive a suo modo.
Ciò che in fondo mi pare interessante è che nell’esaltare i difetti di queste realtà così lontane la città di Houlot ci appaia simpatica e vitale mentre la città del cognato capitano d’industria, triste e noiosa.
Alla fine però qualcosa accade, almeno umanamente un riscatto può esserci, ma questo non lo racconto magari a qualcuno viene voglia di vedere il film.
Ciao
Angelo Gueli